Diversity e inclusion: il nuovo diritto del lavoro

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Le politiche di diversity e inclusion prendono il sopravvento. La persona riacquista una centralità inedita nel diritto del lavoro.

La sfida è quella di assestare una battuta di arresto a quegli atteggiamenti, apparentemente neutri, che indirettamente pregiudicano lavoratori di determinate razza, origine etnica, età, nazionalità o di un determinato genere, orientamento religioso e politico, oppure disabili, le c.d. discriminazioni indirette.

Le direzioni che ha imboccato il legislatore sul terreno dell’ ”inclusione” sono due: la prima è lastricata di premialità, la seconda di alcuni importanti obblighi.

Rispetto alla prima, le recenti linee guida sulla certificazione della parità di genere, varate dal Dipartimento delle Parti Opportunità della Presidenza del Consiglio, il 16 marzo 2022, ne rappresentano il tassello fondamentale. Esse stimolano le imprese verso obiettivi di parità di genere con tre leve:

1) certificazione sulla parità di genere con seri benefici in termini reputazionali;

2) accesso a decontribuzione entro determinati tetti;

3) premialità in caso di partecipazione agli appalti del PNRR.

 

Le imprese hanno ampi margini di autonomia nella scelta delle iniziative utili allo scopo e sono valutate secondo un’articolata serie di indicatori, c.d. Key Perfomance Indicators (KPI).

In questo senso, è il principio di accountability a governare e la loro azione, simile a quello che ha governato il processo di adeguamento in materia di privacy secondo il Reg. UE 679/2016, c.d. GDPR.

Anche il “modello organizzativo” è articolato, con somiglianze con l’impalcatura del D.Lgs. 231/2001 in tema di responsabilità amministrativa delle società mentre il sistema di deleghe sembra, in parte, mutuato dal D.Lgs. 81/2008 in tema di sicurezza sul lavoro.

I KPI si basano sulla introduzione in azienda di:

a) un Comitato Guida, costituito dall’Amministratore Delegato, o da un delegato della proprietà, e dal direttore del personale o altra figura equivalente, prova della delicatezza riconosciuta al tema;

b) un piano strategico sulla parità di genere adottato da tale organo, con un monitoraggio costante sulla sua attuazione e tenuta nel tempo;

c) un monitoraggio dell’applicazione di tale piano, anche attraverso audit interni;

d) un audit esterno rimesso ad un Organismo di Certificazione, a cui devono prendere parte alternativamente un avvocato giuslavorista, un consulente del lavoro o una persona con esperienza qualificata nel campo.

Le imprese che ottengono la certificazione sulla parità di genere possono scegliere di aggiornarla dopo 2 anni, in caso di innovazioni interne che impattano su essa.

Sei le aree del PNRR sulle quali valutare i Key Perfomance Indicators, con quattro cluster di aziende, di cui il quarto costituito dalle aziende “grandi” dotate, cioè, di un organico pari o superiore a 250 dipendenti. Fatto 100 il totale del peso delle differenti aree, ogni area è contraddistinta da un peso percentuale: il raggiungimento dell’asticella del 60% abilita alla certificazione.

Nella direzione dell’obbligo, invece, depone la recente modifica apportata all’art. 46 del Codice delle Pari opportunità (D.Lgs. 198/2006) dal DL semplificazioni (DL 77/2021 conv. in L. 108/2021).

In virtù di essa, le aziende partecipanti o affidatarie di appalti pubblici riconducibili al PNRR e al Piano nazionale per gli investimenti complementari (PNC) di cui al DL 59/2021, devono consegnare alla stazione appaltante una relazione sulla situazione del personale maschile e femminile in organico.

Le aziende che occupano un numero pari o superiore a 15 dipendenti e inferiore a 100 devono presentare alla stazione appaltante, entro 6 mesi dalla conclusione del contratto, una relazione di genere sulla situazione del personale maschile e femminile, recante lo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta. La relazione deve essere trasmessa anche alle RSA e al consigliere di parità.

Il lavoro, in altre parole, si trasforma in un luogo di intreccio fecondo tra esigenze produttive e organizzative dell’impresa e peculiarità della persona. Con un risultato doppio. Da un lato, benessere dei lavoratori, con aumento del tasso di innovazione, soddisfazione e fidelizzazione dei clienti, dall’altro, employer branding e incremento dei risultati economici aziendali come emerge dal Diversity Brand Index 2022, secondo cui i ricavi delle imprese “inclusive” sono più alti del 23%.

Si tratta di una nuova alba per il diritto del lavoro. L’alleanza ha prevalso sull’ideologia del conflitto. Si inverano in questo senso i principi che i nostri Padri costituenti avevano pensato quando all’articolo 1 avevano sancito che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro.